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1977
Piccolo Teatro di Milano
ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI
Autore Carlo Goldoni
Regia di Giorgio Strehler
Scene e costumi di Ezio Frigerio
Musiche di Fiorenzo Carpi
Maschere di Amleto Sartori, Donato Sartori
Interpreti Nico Pepe (Pantalone), Pamela Villoresi (Clarice), Enzo Tarascio (Lombardi), Roberto Chevalier (Silvio), Anna Saia (Beatrice), Franco Graziosi (Florindo), Gianfranco Mauri (Brighella), Marisa Minelli (Smeraldina), Ferruccio Soleri (Arlecchino), Elio Veller (un cameriere), Carlo Boso (cameriere/facchino), Piergiorgio Fasolo (cameriere), Armando Benetti, Raoul Emarten, Antonio Cavazzutti, Leonardo Cipriani, Susanna Marcomeni.
Prima rappresentazione Parigi, Théâtre Odeon, 4 ottobre 1977
In Italia Milano, Piccolo Teatro, 7 novembre 1977
Ancora l’Arlecchino servitore di due padroni. Ancora e sempre. Sempre uguale e sempre diverso. È questo il carattere straordinario di un lavoro di teatro che dura nel tempo offrendosi a pubblici e a generazioni che passano e che mantiene intatta la sua carica di vitalità, di comunicazione, di emozione, attraverso gli anni. Ormai più di trenta.
Ma è poi esatto, definire “straordinario” il sorpassare gli anni, anche i secoli, per un’opera di teatro, per un qualsiasi gesto della poesia degli uomini? Non è questa invece – o non dovrebbe essere questa – la caratteristica dell’opera d’arte in quanto opera d’arte? La vera opera d’arte parla con accenti diversi, con prospettive diverse ma sempre contemporanee, alla gente a cui si rivolge. Mutano i suoi interpreti, si cambiano certi moduli espressivi, cambiano certi ritmi, “le texte” resta.
Così quest’Arlecchino intramontabile ha il segno della vita che passa e si rinnova. È sangue che pulsa e scorre nelle vene di un teatro reale e immaginario, come in un corpo umano.
Del resto lo spettacolo del Piccolo Teatro, dell’Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, con la mia direzione, (la mia regia) ha avuto edizioni diverse, talvolta simili, talvolta totalmente diverse, non nello spirito ma nella forma, cosicché almeno ogni cinque o sei anni il pubblico ha visto un altro spettacolo, non la copia del precedente, non il suo contrario, ma la sua continuità dialettica, uguale e differente al tempo stesso. Come la vita.
Così siamo giunti alla quinta edizione. Questa edizione ha una particolare caratteristica. Essa è nata nel 1977 a Parigi, al Théâtre Odéon. È stata pensata, provata e recitata in quel teatro, per quel teatro, per quelle dimensioni, quell’atmosfera e persino per quel sipario dipinto, quel drappo di velluto rosso finto che Arlecchino ad un certo punto solleva a fatica con le sue mani e le sue spalle perché lo spettacolo continui.
Noi infatti la chiamiamo “édition Odéon” e tale resterà nella nostra storia per sempre.
È un’edizione che amiamo particolarmente, perché essa è stata approfondita soprattutto sul versante del controcanto dei comici che fanno ed assistono allo spettacolo dell’Arlecchino servitore di due padroni. Gli inizi di ogni atto, i finali e tante idee, invenzioni, sospensioni malinconiche, certo gioco del teatro nel teatro, certo diario di vita di comici di un secolo meraviglioso e lontano, appartengono solo a questa edizione francese. Come se l’averla fatta nascere e il viverla su un palcoscenico francese, in un teatro tanto amato e tanto ricco di storia, come l’Odéon, così pieno di fantasmi teatrali antichissimi, abbia in qualche modo riportato alla nostra fantasia la necessità di riallacciarsi ad alcune nostre radici europee, alla storia dei viaggi dei comici italiani nel cuore del Seicento, Settecento, per tutta l’Europa per portare teatro sì, ma anche per legare uomini a uomini, per creare alcune storie misteriosamente profonde, e che sono durate nel tempo, come semi di umanità e di vitalità e immaginazione, della grande cultura Europea.
Proprio in Francia, anima lucente dell’Europa, questa avventura di comici che inventano il teatro, palazzo, stanza, granaio, strada, che sia, insomma, mondo e che parlano una lingua diversa e pur universale, che imparano i linguaggi altrui e li assimilano, che si lasciano prendere ed assimilare a loro volta dalla Francia, che diventano attori francesi (ah! Carlo Antonio Bertinazzi, Thomassin, Silvia, italiani e poi francesi, ah! gli attori adorabili e adorati di Marivaux) proprio qui ha acquistato una sua necessità di essere rappresentata. Altrove no. I motivi della creazione sono segreti e intoccabili ma hanno la loro ineluttabilità. Noi abbiamo sentito col cuore tutto ciò e il nostro Arlecchino “dell’Odéon” è un segno di fraternità, di amicizia irripetibile. E anche il segno, uno tra i tanti, di una volontà di essere europei proprio essendo ciascuno di noi, noi stessi, con le nostre storie, le nostre lingue, i nostri dialetti, le nostre particolarità.
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