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1996/1997/1998
Teatro Argot
ANTIGONE
Autore Jean Anouilh
Regia di Maurizio Panici
Scene e costumi di Arnaldo Pomodoro
Musiche di Massimo Nunzi
Luci di Valentino Brossa
Interpreti Bruno Armando (Creonte), Fulvio Falzarano, Evelina Meghnagi (Coro), Pamela Villoresi (Antigone), Alessandra Acciai (Ismene), Dora Romano (Nutrice), Pietro Genuardi (Emone), Massimiliano Croce
Prima rappresentazione Taormina, Teatro greco, 26 luglio 1996
La Sicilia
Antigone, moderna ribelle.
Pamela Villoresi grande interprete della tragedia di Anouilh.
Taormina - Sussurri e grida, disperazione e sogni, certezze divine e umane a un tempo. Di tutto questo ci parla Pamela Villoresi, raccontandoci e rivivendo al Teatro Antico l'Antigone di Jean Anouilh; ricostruendo cioè per noi una tragedia che è fatta di amore e leggi, ma soprattutto di umanità contrapposta a Creonte, o meglio allo Stato da lui rappresentato che tutto e tutti distrugge nella sua loica freddezza del "Dovere"; dell'obbedienza cioè alla Legge e al Potere. Ecco allora Pamela che "dice" questa ribellione e la sua lucida disperazione (pur sapendo di dover subire il martirio), con le parole, col gesto, con le mani. E sono mani che urlano le sue; che tagliano l'aria come fossero spade, che disegnano ed esprimono sentimenti financo oltre il senso della frase del testo, dando commozione ad esso anche al di là della sua stessa vena poetica: che è quella dell'esistere per essere onesti e coerenti sempre, anche - se necessario - contrapponendosi alla prassi e al volere di Stato, che pretende che si esista solo perché tutto funzioni a dovere, secondo i dettami delle leggi, giuste o sbagliate che siano, le quali non vanno discusse dai cittadini-sudditi, perché il farlo avrebbe aspetti e sostanza di distruttiva rivoluzione. Pamela attrice tragica di una classicità antica e moderna a un tempo; Pamela che trascina dentro di sé l'umanissimo temperamento della ribelle contemporaneamente esprimendo l'astrattezza del Pensiero pensante che non può adattarsi a consuetudini o ordini non condivisi. Neppure - si badi - a quelli dello zio Creonte, financo quando questi, macerato d'autentico affetto per lei, è pronto a salvarla tradendo se stesso e la legge di cui è titolare, purché, nessuno sappia è soprattutto purché il mondo continui a camminare per la strada indicata dal Potere. Un Potere del resto non desiderato, che in realtà Creonte s'è dovuto imporre (dopo la morte di Edipo e quella dei di lui figli, Eteocle e Polinice, caduti in un assurdo e inutile duello), non certo per egoismo, ma perché costretto a far funzionare una macchina che altrimenti sarebbe entrata definitivamente in tilt. Pamela Villoresi, dunque. Non la protagonista dell'Androne di Anouilh, ma l'interprete autentica di una tragedia contemporanea e antichissima; fors'anche contraddittoria talvolta e magari appesantita - specie nella seconda parte - da barocchismi, certo necessari al tempo della prima proposta, ma oggi evitabili con opportuni tagli. Ma anche Pamela Villoresi che magistralmente da certezza al personaggio financo nei suoi eccessi, tuttora idealmente plausibile. Poiché, ben oltre la morale sofoclea di una legge divina che vuole sepoltura per i morti, contrapposta a quella degli uomini che ne vuole alcuni insepolti e disprezzati a causa delle loro colpe (quella stessa legge cioè che costringe Antigone ad agire contro il divieto), c'è nel dramma di Anouilh non solo l'esistenzialismo sartriano ma l'altissima cultura della libertà del suo tempo, che è quello dei Gide, dei Cocteau, dei Giraudoux. Quella cultura francese della guerra e del dopoguerra che è anche modo antitradizionale di vedere e capire la vita e con essa lo Stato e la Democrazia. Nel contingente poi c'è ben altro. C'è il biblico coraggio che l'autore ebbe in quel 4 febbraio del 1944 a Parigi, nel disegnare per il Teatro Atelier in Creonte il nazismo e il collaborazionismo nella Francia occupata, e in Antigone gli aneliti - seppur tragici e sacrificali - di un ribellismo contro ogni dittatura. Ecco allora Anouil districarsi nel gioco dei contrasti, dando nobiltà a certe sofferenze di Creonte, convinto che agendo altrimenti quell'Antifone non sarebbe giunta alla seconda replica. Oggi, la problematica di quest'altissima opera va vista come idea di un ribellismo ideale da contrapporre, a certo cinismo statuale imposto giorno per giorno ai cittadini-sudditi, sotto l'apparenza della "necessità". In questa visione che ci sembra assolutamente legittima, avremmo preferito eliminate in sede di regia certe ripetitività del testo. Il che avrebbe condotto Maurizio Panici, il regista appunto - peraltro attento all'approfondimento psicologico dei personaggi e a un'intensa drammatizzazione del testo - a darci uno spettacolo più lineare e una denuncia più esplicita. A parte queste considerazioni, la coraggiosa proposta di questo testo oggi va assolutamente apprezzata. Del resto se originali sono le sculture di scena di Arnaldo Pomodoro che circondano i personaggi di ineluttabili schegge pronte a infiggersi nelle loro carni, a dar loro dolore e morte; non va sottovalutato l'apporto allo spettacolo delle musiche di Massimo Nunzi, ne quello di Bruno Armando nella costruzione del suo partecipato, spasmodico, approfondito Creonte. Degli altri attori noteremo in particolare Evelina Meghnagi, corifea ideata per l'eternità (e interessante in questa direzione è il costume per lei "scolpito" da Pomodoro) e poi, via via, Fulvio Falzarano che era la Prima guardia, Alessandra Acciai (Ismene), Dora Romano (la nutrice), Pietro Genuardi (Emone). Silenzio panico nel Teatro Antico purtroppo non affollato. Poi, alla fine, entusiastici applausi per tutti e in special modo per l'indimenticabile Pamela Villoresi.
Domenico Danzuso
Gente, 3 Settembre 1996
Pamela Villoresi fa rivivere il mito di Antigone.
L'attrice si è immedesimata con stupefacente capacità nel drammatico personaggio ideato da Sofocle e "rivisto" in questo secolo dal drammaturgo francese Jean Anouilh.
Pochi autori contemporanei hanno avuto il successo che in tutta Europa arrise al francese Jean Anouilh (1910-1937) dalla metà degli anni Trenta alle soglie dei Sessanta, nell'arco concluso tra Il viaggiatore senza bagagli e Becket e il suo re. Ma forse nessuna delle sue pièces roses e delle sue pièces noires, vale a dire delle commedie brillanti e dei drammi problematici, conobbe altrettanti favori di Antigone, come attestano le cinquecento repliche consecutive registrate nella sola Parigi. Scritto nel 1944, durante l'occupazione nazista della Francia, il dramma liberamente ispirato all'omonima tragedia di Sofocle (497-406 a.C.) provocò, assieme agli entusiasmi, anche aspre polemiche soprattutto in Italia, dove fu allestito a guerra appena finita da Luchino Visconti, protagonisti Rina Morelli, Olga Villi, Camillo Pilotto e Giorgio De Lullo. Come nell'originale di duemila anni prima, anche qui Antigone paga con la vita la decisione, a dispetto del veto sovrano, di dare sepoltura al fratello Polinice, esecrato da tutta Tebe per aver dato avvio a una sanguinosa guerra civile. Nella determinazione incoercibile della fanciulla che si ribella all'ordine costituito taluni vollero vedere il simbolo della Resistenza, con il risultato che furono ritenute troppo condiscendenti nei confronti dei "collaborazionisti" le giustificazioni di re Creonte che alla nipote ribelle risponde: "Buon Dio, bisogna pure che ci sia anche chi dice di sì, bisogna che ci sia chi conduce una barca che fa acqua da tutte le parti, senza chiedersi se un giorno verrà la resa dei conti". Riproposta cinquant'anni dopo dal romano Teatro Argot nel Teatro Greco di Taormina (e poi nei teatri antichi di Siracusa, Tindari, Reggio Calabria, Fiesole) l'Antigone di Anouilh non ha certo provocato riserve ormai anacronistiche, viceversa confermando la sua intatta suggestione, anche per la strepitosa resa interpretativa di Pamela Villoresi. L'attrice toscana, 38 anni, si è immedesimata con stupefacente capacità mimetica negli slanci adolescenziali di una ragazza che va incontro consapevole alla morte pur di compiere un gesto di pietà ritenuto inderogabile, pur non sfuggendole i gravi toni del morto. Invano tentano di trattenerla la dolce sorella Ismene, l'amoroso fidanzato Emone, figlio del re, la tenera nutrice, lo stesso zio Creonte. Antigone non ascolta i suggerimenti della ragione, ma unicamente gli impulsi del cuore, non obbedisce alle leggi scritte dagli uomini ma a quelle tacite della coscienza. La purezza del sentimento, il senso profondo della consanguineità, lo slancio verso l'assoluto che Jean Anouilh presta alla sua eroina sono esaltati da una Pamela Villoresi di soggioganti accenti e di toccante immedesimazione. A un'aspra Grecia arcaica si richiama lo scultore Arnaldo Pomodoro sia nei costumi ispirati a rigorosi calchi grafici, sia in una scenografia evocante antichi sepolcreti istoriati, alla fine confluenti in un enorme cubo, simbolo della caverna in cui Antigone viene murata viva. Le musiche di Massimo Nunzi sottolineano la mediterraneità di una vicenda che trova linfa nelle strutture superstiti del bimillenario Teatro Greco, fasciato dalle luci misteriche di Marco Palmieri costrette a competere con un magico plenilunio. Se alla fine gli applausi più calorosi e incessanti sono per la Villoresi, regge bene il confronto con una protagonista di tanto coinvolgimento l'inflessibile ma non scostante Creonte di Bruno Armando, che non cede mai alla tentazione dell'enfasi, penetrando piuttosto nelle pieghe segrete di un personaggio alla fine colpito negli affetti più cari con la perdita del figlio e della moglie. Sulla tomba della suicida Antigone, che si impicca nella caverna fatale, si immola l'inconsolabile Emone impersonato da Pietro Genuardi, tosto seguito nell'al di là dalla regina Euridice, che il regista Maurizio Panici non fa peraltro mai comparire in scena. Merito di una regia che ha operato accortamente "dentro" e non fuori del testo e l'ottima resa dell'intero collettivo attorale, a cominciare dall'attrice-cantante Evelina Meghnagi cui è delegata la funzione di Coro, da Alessandra Acciai delicata Ismene e da Dora Romano convincente nutrice.
Gastone Geron
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