2008
ASSOCIAZIONE TEATRALE PISTOIESE - ARGOT PRODUZIONI
PAMELA VILLORESI - DAVID SEBASTI
MARLENE
novità assoluta di Giuseppe Manfridi
con Silvia Budri e Cristina Sebastianelli
con la partecipazione di ORSO MARIA GUERRINI
Scene Andrea Taddei
Costumi Lucia Mariani
Musiche originali di Luciano Vavolo
Regia Maurizio Panici
Canzoni di F. Hollander, N.Schultze, P.Siger, L.Brown, B.Bacharach
Note dell’ autore
”Marlene”, come Marlene Dietrich, e la Dietrich è la protagonista di questa commedia che, penetrando nel “dietro le quinte” della sua vita, scandisce in tre capitoli le vicende di un’avventura umana sensazionale.
Il primo capitolo è ambientato a Londra, nel 1954. Hollywood sembra aver voltato le spalle all’attrice, e il teatro si propone alla Dietrich come un’ importante occasione di riscatto artistico. Siamo in un’elegante suite d’ albergo. E´ la mattina del giorno in cui Marlene, cinquantenne, dovrà debuttare con un fastoso recital al `Cafè de Paris´, sala da duemila posti che si annuncia esaurita. Lo spirito dell’atto è brillante, di estrema leggerezza, e sfocia nel confronto tra la diva e il suo grande pigmalione, Joseph Von Sternberg (regista de “L’Angelo azzurro”), insieme al quale la donna rivivrà l’incredibile provino in cui lui la scelse per la parte di Lola.
Il secondo capitolo ci porta a un pomeriggio di sei anni dopo, nel 1960. L’azione è ambientata nel camerino di un teatro di Berlino, città dove Marlene è tornata dopo molti anni di assenza. Anche stavolta siamo a poche ore da un concerto. Coprotagonista dell’atto è il musicista Burt Bacharach, a quell’ epoca trentenne, di grande avvenenza, ancora semisconosciuto, ma dal talento assai percepibile.
Marlene deve a lui gran parte delle orchestrazioni per i suoi concerti. E’ evidente che fra i due vibra una potente corrente erotica.
Il terzo capitolo ci fa fare un balzo nel tempo ancora più brusco. Siamo nel 1975. A Toronto. Di nuovo in una suite d’hotel ma tradotta in camerino. Marlene, infatti, sempre più incline all’alcool e afflitta da varie sofferenze fisiche, è da un paio d’anni costretta a esibirsi negli stessi alberghi in cui alloggia. E’ sera, e il “Chi è di scena” annuncia che manca mezz’ora all’aprirsi del sipario.
Questa terza parte corrisponde a un faccia a faccia impietoso, ma anche ironico e divertente, con la figlia Kater, creatura costretta a una vita defilata e sempre rimessa al servizio di una madre tanto ingombrante.
A chiudere il capitolo e la commedia sarà un colpo di scena decisivo che chiamerà nuovamente in causa Sternberg, il Mefistofele a cui Marlene si è offerta per tutta la vita come a un seducente e pericoloso Faust.
Lo spettacolo prevede un’ importante presenza musicale, con l’esecuzione di alcuni brani resi celebri dalla Dietrich: su tutti, “Lilì Marlene”. Giuseppe Manfridi
NOTE DI REGIA
Nel nome della protagonista - Maria Magdalena - è già segnato il percorso umano e artistico che per decenni e fino ai nostri giorni, ha sollecitato l’immaginario collettivo, consegnando al mondo l’icona di una bellezza prima ferocemente costruita e poi tenacemente mantenuta fino all’inevitabile declino.
Di questa discesa il testo di Manfridi è testimonianza.
Marlene è una “via crucis” dolorosa, che parallelamente all’alimentarsi del mito fa sprofondare la protagonista nelle pieghe più “umanamente degradate” : i rapporti con gli uomini, gli innumerevoli amanti , un marito che rimane sempre sullo sfondo, una figlia che si occupa di lei fino alla fine ma con cui ha un legame difficile. Sullo sfondo si muove la Storia che cambierà l’ordine naturale delle cose: Marlene l’attraversa cercando comunque di proteggere il suo mito, essendo la prima icona moderna consegnata alla nostra inesauribile e insaziabile voglia di eterna bellezza attraverso le luci e le ombre create dal suo “mefistofelico” amante e mentore Joseph Von Sternberg.
Marlene come una riflessione sulla necessità di creare “miti” ma anche, soprattutto, la storia di una donna fragile/indistruttibile, sezionata nei suoi affetti, nei suoi rapporti, che impietosamente si mostra nella sua terribile alterità fino alla consegna finale attraverso uno struggente e infinito piano sequenza diretto dal suo maestro di sempre.
Un testo, questo di Manfridi, nella grande tradizione nordica che comincia con August Strindberg e arriva fino a Ingmar Bergman.
Le canzoni saranno il filo rosso di questo spettacolo, per ricomporre pienamente il quadro di un’epoca fortemente dolorosa, segnata dalla guerra da cui disperatamente si cercava una via di uscita. La scena è uno spazio mentale della memoria dove la protagonista ritrova le figure più importanti della sua vita in una “danza di morte” di strindberghiana memoria.
Maurizio Panici